CHE NE SARÀ DI NOI? Riflessioni sulle fusioni dei Comuni in Toscana.

Tutti felici, tutti contenti e sembrano, incredibilmente, tutti d’accordo nonostante la delicatezza del tema. Lo studio presentato dall’IRPET, con la previsione di soltanto 50 Comuni in tutta la Toscana, viene spiegato e sostenuto come la soluzione definitiva alle difficoltà ad oggi presenti. Fondere i Comuni è la parola d’ordine, ridurre la rappresentatività e smontare l’assetto presente dal dopoguerra le naturali conseguenze.

Al di là della legittima proposta politica, quello che considero assurdo è la serie di eventi che ci ha portato a questo. Durante questi anni caratterizzati dalla completa mancanza di fiducia nei confronti della politica e delle sue soluzioni, gli unici che quotidianamente hanno portato avanti la “baracca” della res publica sono stati proprio i Comuni ed i Sindaci. Invece di sostenere l’ente più vicino ai cittadini, dei quali comprende prima e meglio problematiche e necessità, si sta operando in direzione completamente opposta: il continuo taglio di trasferimenti, i vincoli del patto di stabilità e la perenne indecisione legislativa su tasse e tributi (solo per citare alcune difficoltà).

Ad oggi la Regione Toscana promette finanziamenti a fondo perduto e sblocco del patto di stabilità per quei Comuni che si fondono. A mio avviso un vero e proprio ricatto al quale non bisogna cedere. Con la prima operazione si va a trasferire fondi, quando da anni viene ripetuta la solita storia secondo la quale mancherebbero, mentre con la seconda si permette ai Comuni di spendere soldi bloccati in cassa. Una legittima operazione politica che premia chi si fonde e, allo stesso tempo, rassicura sul fatto che, volendo, i soldi da trasferire ai Comuni ci sarebbero.

Da quando il tema è entrato a far parte del dibattito pubblico ho ragionato più volte su quali potrebbero essere i benefici di una tale operazione. Il ritornello dell’efficienza amministrativa che aumenterebbe con Comuni più grandi non mi convince per una serie di motivi.

Per primo è illogico pensare che amministrare 15.000 cittadini sia più facile rispetto ad amministrarne 7.000, in quanto più è piccola una comunità e meglio può esser sotto controllo.

Per secondo non credo che il risparmio sul costo della politica, sempre che ci sia e di quale entità, possa compensare il deficit di rappresentatività che si andrebbe a creare in alcuni territori.

Infine, i nuovi enti comunali integrerebbero gli attuali dipendenti senza alcun tipo di esubero. Un Comune più grande ha bisogno di più dipendenti e quindi, anche in un prossimo futuro, non ci sarebbe una razionalizzazione del personale, soprattutto se si vuol mantenere uffici decentrati sul territorio.

Si cerca di ridurre il numero degli enti maggiormente rappresentativi dei cittadini, dai quali spesso escono anche ottime ed innovative pratiche di governo. In questo modo i cittadini non riusciranno più ad avere un confronto diretto con chi li rappresenta, incitando il proprio Sindaco a fare del suo meglio, ma molte storiche Comunità saranno tutte sotto un unico controllo. Capisco la difficoltà della Regione a comunicare con i territori dopo “l’abolizione” delle Province, ma farlo a spese degli stessi territori e dei cittadini mi pare folle. Il Comune è l’unico ente che funziona, è vicino al cittadino, è il più controllato, poiché se il Sindaco sbaglia di grosso gli elettori sanno dove andare a cercarlo. Difficilmente sentiamo parlare sulla cronaca di scandali riguardanti i Comuni, ad eccezione di quelli medio-grandi, perché se si decide di fare il Sindaco o l’amministratore difficilmente lo si fa per qualche rendita di posizione, ma solamente per il bene della Comunità. Nei Comuni, quelli di dimensioni ridotte, dove più o meno tutti si conoscono, non c’è niente da rubare, i vantaggi sono pochi e l’impegno richiesto è enorme, ma necessario.

Il ruolo dei Comuni nell’economia e nella vita di tutti i giorni è fondamentale, i cittadini hanno bisogno di una politica locale vicina, che sappia comprendere e risolvere i problemi di tutti i giorni. Allontanando i centri di amministrazione dalle persone si rischia seriamente di creare delle enormi periferie allo sbando, negando il principio di sussidiarietà che sta alla base del decentramento amministrativo. Abbiamo già conosciuto i risultati della politica centralistica ed i suoi riflessi sul territorio: depotenziamento degli ospedali periferici, un PIT che non tiene conto delle particolarità urbanistiche dei territori, una gestione dei rifiuti criticabile, la monca abolizione delle Province che ha solo creato caos sulle competenze.

Penso che uno Stato particolare come il nostro funzioni meglio con enti che stiano il più vicino possibile ai loro cittadini; probabilmente siamo in pochi a pensarla così. L’Italia è un agglomerato di piccole realtà, non dovremmo andare contro la natura delle cose. Lo ritengo un ragionamento naturale e vedere come avviene la gestione dei Comuni piú grandi, faticosa in troppi aspetti, me ne dà la conferma. I problemi, gli sprechi e la cattiva gestione amministrativa che ogni giorno viene denunciata, non si trovano nei piccoli comuni. Non possiamo ragionare solamente in nome dell’economia di scala o di bacini territoriali fatti da un computer.

La Toscana e l’Italia sono altro. Sono un insieme di storia, usanze e tradizioni comunitarie, che caratterizzano le piccole comunità, che sono le fondamenta della nostra patria. Se colpisci una casa dal basso, crolla tutto.

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