SanPa EVIDENZIA IL FALLIMENTO DELLO STATO. PER QUESTO NON PUÒ PIACERE IN QUESTO PAESE.

Ho visto, come molti, la docu-serie su San Patrignano prodotta da Netflix. Cinque puntate ben montate, in tutti i sensi, che ripercorrono la storia di Vincenzo Muccioli, il padre della comunità di San Patrignano, della sua creatura sulle colline di Rimini e la piaga della droga di cui hanno sofferto tanti giovani nei decenni scorsi.

Per chi, principalmente per motivi anagrafici, non conosceva la storia di Vincenzo Muccioli questo racconto è stato illuminante. Ma al di là della storia del creatore e della sua creatura, è interessante, per chi non ha vissuto quel periodo, capire come questa luce sulle colline romagnole fosse considerata dall’opinione pubblica del tempo un luogo di salvezza per tanti giovani e per le loro famiglie, che non trovavano evidentemente altra soluzione a quella di rinchiudersi agli arresti domiciliari, di privarsi delle libertà personali e degli affetti, per evitare il peggio, per evitare una fine certa: la morte.

Non mi ha sorpreso il dibattito pubblico che ne è scaturito negli ultimi giorni: due tifoserie contrapposte, come spesso accade in Italia, a sostenere o a denigrare l’operato della Comunità. Se da una parte comprendo l’esaltazione di Muccioli che viene fatta da una parte del paese, un mondo che mi è anche culturalmente vicino, dall’altra capisco perfettamente anche le reazioni avute da chi si contrappone a quel progetto principalmente, o inconsciamente, per le solite motivazioni in cui credevano gli oppositori di SanPa negli anni 80’-90’.

Al di là dei processi e delle sentenze, che si possono contestare ma si rispettano, quello che evince dal racconto di Netflix è ai miei occhi, che sottolineo non aver vissuto quel periodo, parecchio chiaro. Il fallimento dello Stato sulla tematica della lotta alla droga è, ed era, abbastanza evidente. Per motivi politici e sociali è stata una piaga che non è mai stata affrontata come si sarebbe dovuto fare. I vuoti, in politica come nella società, sono pronti ad essere riempiti e per fortuna, non mia ma di quei ragazzi che hanno potuto rivedere la luce, c’è stato San Patrignano.

Come in una clessidra, l’affidabilità della Comunità in una battaglia così importante cresceva facendo svuotare l’apparato statale di qualsiasi utilità nella lotta alla droga. E allora la burocrazia, l’apparato, inizia a autotutelarsi, come i tentacoli di un sol polpo, dagli attacchi esterni. Se da una parte la magistratura, e le forze dell’ordine, dovevano trovare motivi per mettere in cattiva luce gli sforzi della Comunità, dall’altro lato le passerelle politiche sulla collina servivano per “mettere il toppino” su un’iniziativa privata con scopo pubblico. Due compiti difficili perché Muccioli, grazie al suo lavoro, aveva ormai una notorietà e una “protezione” pubblica notevole.

È sempre stato incomprensibile a troppi che un libero cittadino, grazie all’aiuto economico di altri privati, potesse svolgere un servizio pubblico gratuitamente per il proprio paese. Questo innato senso del socialismo per il quale solamente lo Stato può effettuare un servizio pubblico venne meno anche con la nascita di San Patrignano. Quindi il leviatano si doveva difendere per evitare, sopratutto, che questo esempio fosse ripreso anche in altre situazioni dove lo stato non riusciva a garantire efficienza.

Le accuse alla comunità troveranno sempre terreno fertile per le stesse motivazioni. Non è, a mio avviso, uno scontro fra libertari e proibizionisti. O meglio, parte della faccenda è anche dovuto a quello, ma non è il motivo scatenante. Il solito ritornello italico per la quale ci si chiede “Per quale motivo lo fa?”, riferendosi in questo caso alla famiglia Muccioli. L’idea, viva negli angoli della nostra mente (a volte anche della mia), per la quale debba esistere sempre un rendiconto, economico ma non solo, ad azioni volte a fare il bene degli altri. Siamo la patria del volontariato ma solo quando rimane nell’anonimato: se qualcuno, per meriti, esce alla ribalta viene stroncato (v. Bertolaso con le consulenze gratuite per gli ospedali Covid).

Infine, fuori da questo mio ragionamento, esce fuori un’altro vizio italico che per mia forma mentis non potevo non sottolineare: la totale mancanza di riconoscenza. Molti dei racconti che possiamo ascoltare nel documentario sono fatti da persone che hanno vissuto la comunità e probabilmente sono state salvate dal “metodo Muccioli”. Ascoltandole, in molti momenti, mi sentivo a disagio per loro nel dire tutte quelle cattiverie verso un mondo, quello sulla collina, che probabilmente gli ha ridato la vita. Il valore della vita però meriterebbe altri ragionamenti e con certi ambienti è quasi impossibile.

Però, quando sentivo certe affermazioni la mia domanda era una sola: dove sarebbero stati ora se non ci fosse stato San Patrignano? La risposta me la sono data subito e la sapete anche voi.

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